Terza puntata di narghilè e salute
Narghilè e salute: terza parte
Dopo questo breve panorama introduttivo, e prima di affrontare gli aspetti più tecnici, è importante ricordare due fattori importanti. Prima di tutto, nella maggior parte dei paesi del bacino del mediterraneo, dove si sono concentrate le ricerche del gruppo di Tessier (38), più del 45% degli uomini e del 15% delle Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 Reviews 43 donne sarebbero fumatori di sigarette. In secondo luogo, i limiti ed il difetto principale della maggior parte degli studi condotti fino ad oggi sta nel non tener conto del passato del fumatore di narghilè: non ha mai fumato sigarette? È un ex fumatore di sigarette o le ha semplicemente sostituite con il narghilè? Quest’ultimo tipo di fumatore è più esposto al rischio della dipendenza e all’assorbimento di quantità più elevate di sostanze che normalmente vengono diminuite dal narghilè. Tutti i ricercatori che si sono interessati al narghilè sono rimasti sorpresi, se non addirittura scoraggiati, dai diversi modi di definire nelle varie lingue sia l’oggetto che i suoi elementi principali (fornello, asta, vaso, tubo), i suoi numerosi accessori, i diversi modi di preparare il tabacco e i diversi modi di fare. Tale situazione porta spesso a fare confusione; ciò che i Turchi chiamano jurâk, per gli altri è tumbâk. A volte, uno studio pubblicato non fornisce nessuna informazione sul tipo di tabacco o carbone – naturale o “chimico”, cioè auto-combustibile – utilizzati. Non bisogna perciò stupirsi di fronte all’assenza di standardizzazione al momento della catalogazione dei documenti nei database internazionali. Solamente in ambito bibliografico, i buchi e i riferimenti mancanti sono molto dannosi per la qualità dei lavori. La necessità di un vocabolario generale condiviso è perciò evidente. Con alcuni colleghi di un gruppo internazionale, abbiamo raggiunto l’accordo di utilizzare, in inglese, il termine waterpipe come parola unica, eventualmente seguita fra parentesi dai termini: hookah, shisha, narghilè e qualsiasi altro nome dialettale (come “gûza” ad esempio). Rimane tuttavia il problema della dittatura dell’inglese e delle risorse egemoniche come Medline. I lavori di Salem e altri furono infatti ignorati a lungo perché, benché pubblicati in lingua inglese, erano apparsi su riviste scientifiche egiziane poco reperibili all’estero (22-32). Evoluzione e stato delle conoscenze sulla materia Prima del 1995 era difficile trovare un qualsivoglia articolo sul narghilè nei giornali e nelle riviste scientifiche. Paradossalmente, oggi è quasi fastidioso e imbarazzante recensire l’abbondanza di testi scritti al riguardo sui giornali e sulle riviste indiane, del Medio Oriente, del Stati Uniti, dell’ Australia, della Russia, ecc.Tutta questa letteratura altro non è che il riflesso dell’interesse per la moda recente. Non si tratta in nessun caso di ricerca. Nell’ambito della critica presente e per quel che ci riguarda, non prenderemo in considerazione i lavori che rientrano nella sfera socioantropologica e storica del narghilè. Vi è già stato dedicato un lavoro esaustivo (4,5) e, a quel che ci risulti, non vi sono nuove ricerche in corso. I nostri lavori e, in particolar modo, la tesi di dottorato (4,5,7,8,9) hanno un approccio globale e multidisciplinare (sociologico, antropologico, storico e tabaccologico) all’oggetto della presente rassegna e al suo uso, nel tempo e nello spazio. Prima non esisteva alcuno studio che fosse appena un pò più sostanziale. In questa rassegna, stiliamo una prima guida critica agli studi scientifici condotti fra gli anni ’60 e il 2000. A partire da questa data, che corrisponde anche al forte ritorno alla moda del narghilè nel mondo, studi medici e farmacologi cominciano a moltiplicarsi. E sulla scia della Conferenza Mondiale sul Tabacco (Helsinki, 2000), questa evoluzione significa una presa di coscienza, ancorché marginale, della comunità dei ricercatori. Il fenomeno è inoltre sempre più “visibile”, nonostante alcuni continuino a prenderne coscienza solo nel proprio paese, ignorando deliberatamente cosa avviene nel resto del mondo. Questa nuova realtà è mondiale, e ciò che si osserva all’interno del proprio paese è soltanto, usando una metafora comune, la “punta dell’iceberg”. Gli studi di molte équipe di ricercatori dagli anni ’60 agli anni ’80 meritano di essere menzionati ancora oggi perché vengono considerati dei punti di riferimento. • Rakower si era interessato a popolazioni di fumatori di narghilè (tumbâk) presso i quali il tasso di insorgenza di cancro ai polmoni era più basso rispetto a quello dei loro concittadini. Misurò il livello di filtraggio dei catrami paragonandolo a quello della sigaretta. Le cifre verranno fornite nelle sezioni di questo documento a loro riservate (19). • Hoffmann paragonò fra loro la concentrazione dei componenti (fase corpuscolare, nicotina, benzopirene e fenoli) del fumo di una sigaretta di 85 mm, di due tipi di sigari, di una pipa riempita con il suo tipo di tabacco e di un’altra riempita con tabacco di sigaretta, e infine di un narghilè siriano di tipo shisha con tabacco tumbâk. 2,2 gr di tumbâk umidificato al 13,1% furono utilizzati nel fornello. I test furono condotti con (650ml) e senza acqua nel vaso. Furono registrate 2 boccate di 35ml al minuto della durata di 2 secondi ciascuna. Anche questi dati verranno presentati più avanti (11). • Salem ha condotto un numero impressionante di esperimenti sul gûza, narghilè egiziano di piccole dimensioni con un tubo di aspirazione rigido, nel quale viene consumato del tabamel/jurâk in un fornello più piccolo (“korsi”). Il peso del tabacco corrisponderebbe, secondo il ricercatore, a quello di una sigaretta. Ritorneremo su Salem, e più specificatamente nella sezione dedicata agli aspetti pneumologici dell’uso del narghilè (22-32). Una ventina d’anni fa si tenne un Congresso medico sul narghilè (Maalej), Narghile in Turchia, 1997 Reviews Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 44 unico nel suo genere, ma sfortunatamente disponiamo solo di informazioni parziali a que-sto riguardo, riportate da El Garbi (10). È importante citare infine una recente guida bibliografica che spesso si riduce a citare gli “abstracts” degli studi che vi sono presentati (18). Questo metodo si discosta completamente dal nostro, che è lo stesso della nostra tesi (4,5). Il nostro approccio è di tipo informativo ma anche critico primariamente nei confronti della metodologia adottata negli studi condotti dagli uni e dagli altri e, in secondo luogo, verso i limiti interpretativi che essi stessi creano. Non affronteremo gli aspetti ideologici. Lo studio menzionato ignora anche lavori importanti quali quelli realizzati dagli autori all’interno del proprio ambito professionale; è questo l’esempio della tesi di Bakir (1) che abbiamo avuto la fortuna di leggere nella traduzione e presentazione a cura di Chafei (3). Tale documento ha il pregio di rendere nota una letteratura poco accessibile, ossia quella dei ricercatori egiziani che lavorano su questo tema fin dagli anni ’70, ma che sono stati praticamente ignorati dai loro colleghi fino ad oggi. Questo è anche il caso di Salem (22-32). Di conseguenza, ci siamo rivolti a questa guida per recuperare i riassunti di alcuni studi egiziani introvabili nelle biblioteche internazionali e, per ogni caso, ne abbiamo citato chiaramente la fonte secondaria: Radwan